Città tipiche della storia Toscana e della cultura

Alberto
Città tipiche della storia Toscana e della cultura

Visite turistiche

Il colle su cui sorge Volterra era abitato già durante la prima età del ferro, come confermano le grandi necropoli villanoviane delle Ripaie e della Guerruccia, situate sui versanti che guardano a ovest e a nord. Gli insediamenti presenti lungo le colline trovarono il loro punto di incontro nell'area della necropoli dove, intorno alla fine dell'VIII secolo a.C., si iniziarono a tenere mercati e a realizzare aree di culto, dando vita al processo di sinecismo che originò il primo nucleo urbano. L'acropoli I reperti archeologici riferibili ai secoli VII e VI a.C. sono scarsi, ma mostrano una persistenza della cultura villanoviana accanto alle prime testimonianze della cultura orientalizzante. Velathri fu una delle dodici città principali della confederazione etrusca e a partire dalla seconda metà del VI secolo a.C. ingrandì le mura a difesa dell'acropoli fino a raggiungere una circonferenza di circa 1800 metri, in pratica il piano sottostante la vetta del colle; questo processo si completò ai primi del V secolo a.C. Le mura, ancora oggi per gran parte visibili, vennero costruite alla fine del IV secolo a.C. ed avevano un'estensione di 7300 metri. Oltre all'accresciuto centro urbano proteggevano anche le fonti, i campi ed i pascoli necessari per far sopravvivere le greggi degli abitanti dei dintorni che si rifugiavano all'interno per salvarsi dai saccheggi che spesso i Galli e i Liguri effettuavano in queste zone. Dal IV secolo a.C. in avanti i reperti archeologici aumentano ed è possibile ripercorrere la storia della città che raggiunse il suo massimo splendore quando le città etrusche meridionali (Veio, Tarquinia, Cerveteri, Vetulonia ecc.) iniziarono a decadere a causa della loro vicinanza con la nascente potenza di Roma. Volterra era collocata molto più lontano e soprattutto era situata su un colle difficilmente accessibile e protetto da mura possenti. In quel periodo la città ebbe un grande sviluppo della sua economia basata sullo sfruttamento delle miniere di rame e d'argento poste nei dintorni; oltre che di minerali il territorio volterrano era ricco di pascoli, foreste e di attività agricole. Il vicino fiume Cecina e la sua valle furono la naturale via di comunicazione verso il mare favorendo i commerci. La vita politica e sociale era dominata dall'aristocrazia locale, con a capo la famiglia dei Ceicna, che seppe garantire un notevole benessere e anche una certa indipendenza. La parziale indipendenza venne mantenuta anche quando Velathri fu costretta, ultima tra le Lucumonie etrusche, a riconoscere la supremazia di Roma e a entrare verso la metà del III secolo a.C. nella confederazione italica con il nome di Volaterrae. La città mantenne dei buoni rapporti con Roma e nel corso della seconda guerra punica fornì a Scipione grano e navi. La fedeltà venne ricompensata e nel 90 a.C. i volterrani ottennero la cittadinanza romana. Pochi anni dopo la città venne coinvolta nella guerra civile tra Mario e Silla schierandosi con Mario e accogliendo, all'interno delle sue mura, i resti dell'esercito mariano; Silla diresse personalmente l'assedio alla città che resistette per due anni (82-80 a.C.);[8] dopo i quali, con la popolazione stremata, la città si arrese subendo un devastante saccheggio. Volterra e i suoi abitanti furono privati del diritto di cittadinanza e il suo territorio fu dichiarato ager publicus. Dopo l'abdicazione di Silla, Volterra, difesa da Cicerone, amico dei Caecinae (i Ceicna dell'epoca etrusca) la più potente famiglia volterrana, riuscì a ritornare in possesso di gran parte delle terre confiscate e a godere di un periodo di prosperità e di crescita urbanistica testimoniato dalla costruzione del teatro e da un quartiere residenziale posto nell'area di Vallebona. Ma furono gli ultimi bagliori. La città era isolata dal punto di vista viario, non era più necessaria come fortezza dopo l'assoggettamento dei Galli, il trasferimento nella capitale delle famiglie più ricche e la crisi economica che colpì i municipi italici nel I secolo d.C. portò la città a decadere in epoca imperiale. In quello stesso I secolo d.C. nacquero a Volterra due dei suoi figli più celebri: Aulo Persio Flacco nel 34 d.C., e San Lino, eletto nel 67 d.C. secondo papa della storia e martirizzato nel 76 d.C. Negli anni della crisi e della decadenza dell'impero romano, Volterra non ha lasciato nessuna notizia di sé. Dall'età cristiana al RinascimentoModifica Nel V secolo d.C. divenne sede di una diocesi il cui vastissimo territorio ricalcava quello della Lucumonia e del municipio romano; nello stesso secolo venne fondato il tempio di Santa Maria, il primo duomo della città. Si segnala tra i primi vescovi volterrani, Giusto (†5 giugno 556), poi divenuto il patrono di Volterra, a cui la tradizione attribuisce il miracolo di aver salvato la città dall'assedio di Totila nel VI secolo
836 íbúar mæla með
Volterra
836 íbúar mæla með
Il colle su cui sorge Volterra era abitato già durante la prima età del ferro, come confermano le grandi necropoli villanoviane delle Ripaie e della Guerruccia, situate sui versanti che guardano a ovest e a nord. Gli insediamenti presenti lungo le colline trovarono il loro punto di incontro nell'area della necropoli dove, intorno alla fine dell'VIII secolo a.C., si iniziarono a tenere mercati e a realizzare aree di culto, dando vita al processo di sinecismo che originò il primo nucleo urbano. L'acropoli I reperti archeologici riferibili ai secoli VII e VI a.C. sono scarsi, ma mostrano una persistenza della cultura villanoviana accanto alle prime testimonianze della cultura orientalizzante. Velathri fu una delle dodici città principali della confederazione etrusca e a partire dalla seconda metà del VI secolo a.C. ingrandì le mura a difesa dell'acropoli fino a raggiungere una circonferenza di circa 1800 metri, in pratica il piano sottostante la vetta del colle; questo processo si completò ai primi del V secolo a.C. Le mura, ancora oggi per gran parte visibili, vennero costruite alla fine del IV secolo a.C. ed avevano un'estensione di 7300 metri. Oltre all'accresciuto centro urbano proteggevano anche le fonti, i campi ed i pascoli necessari per far sopravvivere le greggi degli abitanti dei dintorni che si rifugiavano all'interno per salvarsi dai saccheggi che spesso i Galli e i Liguri effettuavano in queste zone. Dal IV secolo a.C. in avanti i reperti archeologici aumentano ed è possibile ripercorrere la storia della città che raggiunse il suo massimo splendore quando le città etrusche meridionali (Veio, Tarquinia, Cerveteri, Vetulonia ecc.) iniziarono a decadere a causa della loro vicinanza con la nascente potenza di Roma. Volterra era collocata molto più lontano e soprattutto era situata su un colle difficilmente accessibile e protetto da mura possenti. In quel periodo la città ebbe un grande sviluppo della sua economia basata sullo sfruttamento delle miniere di rame e d'argento poste nei dintorni; oltre che di minerali il territorio volterrano era ricco di pascoli, foreste e di attività agricole. Il vicino fiume Cecina e la sua valle furono la naturale via di comunicazione verso il mare favorendo i commerci. La vita politica e sociale era dominata dall'aristocrazia locale, con a capo la famiglia dei Ceicna, che seppe garantire un notevole benessere e anche una certa indipendenza. La parziale indipendenza venne mantenuta anche quando Velathri fu costretta, ultima tra le Lucumonie etrusche, a riconoscere la supremazia di Roma e a entrare verso la metà del III secolo a.C. nella confederazione italica con il nome di Volaterrae. La città mantenne dei buoni rapporti con Roma e nel corso della seconda guerra punica fornì a Scipione grano e navi. La fedeltà venne ricompensata e nel 90 a.C. i volterrani ottennero la cittadinanza romana. Pochi anni dopo la città venne coinvolta nella guerra civile tra Mario e Silla schierandosi con Mario e accogliendo, all'interno delle sue mura, i resti dell'esercito mariano; Silla diresse personalmente l'assedio alla città che resistette per due anni (82-80 a.C.);[8] dopo i quali, con la popolazione stremata, la città si arrese subendo un devastante saccheggio. Volterra e i suoi abitanti furono privati del diritto di cittadinanza e il suo territorio fu dichiarato ager publicus. Dopo l'abdicazione di Silla, Volterra, difesa da Cicerone, amico dei Caecinae (i Ceicna dell'epoca etrusca) la più potente famiglia volterrana, riuscì a ritornare in possesso di gran parte delle terre confiscate e a godere di un periodo di prosperità e di crescita urbanistica testimoniato dalla costruzione del teatro e da un quartiere residenziale posto nell'area di Vallebona. Ma furono gli ultimi bagliori. La città era isolata dal punto di vista viario, non era più necessaria come fortezza dopo l'assoggettamento dei Galli, il trasferimento nella capitale delle famiglie più ricche e la crisi economica che colpì i municipi italici nel I secolo d.C. portò la città a decadere in epoca imperiale. In quello stesso I secolo d.C. nacquero a Volterra due dei suoi figli più celebri: Aulo Persio Flacco nel 34 d.C., e San Lino, eletto nel 67 d.C. secondo papa della storia e martirizzato nel 76 d.C. Negli anni della crisi e della decadenza dell'impero romano, Volterra non ha lasciato nessuna notizia di sé. Dall'età cristiana al RinascimentoModifica Nel V secolo d.C. divenne sede di una diocesi il cui vastissimo territorio ricalcava quello della Lucumonia e del municipio romano; nello stesso secolo venne fondato il tempio di Santa Maria, il primo duomo della città. Si segnala tra i primi vescovi volterrani, Giusto (†5 giugno 556), poi divenuto il patrono di Volterra, a cui la tradizione attribuisce il miracolo di aver salvato la città dall'assedio di Totila nel VI secolo
https://www.sangimignano.com/ La fondazione di San Gimignano si perde nella notte dei tempi: la leggenda racconta che nel 63 a.C. i due fratelli Muzio e Silvio, giovani patrizi fuggiti da Roma perché complici di Catilina, si rifugiarono in Val d'Elsa e vi costruirono due castelli: quello di Mucchio e quello di Silvia, futura San Gimignano. Il primo documento storico che attesta il nome della città è datato 30 agosto 929 quando Ugo di Provenza dona al vescovo di Volterra il monte chiamato della Torre "prope Sancto Geminiano adiacente". È probabile che il nome San Gimignano derivi proprio dal nome del vescovo di Modena, quando - anche in questo caso la leggenda narra che - il santo durante le invasioni barbariche salvò la città dalla minaccia di Totila, apparendo miracolosamente sulle mura. Prenota una visita guidata Agevolazioni per gruppi   I primi insediamenti Il fascino delle leggende, tuttavia, non è certo superiore a quello esercitato dalla lunga e complessa storia della città. Il territorio di San Gimignano fu frequentato fin dalla preistoria. È comunque a partire dal periodo etrusco arcaico che i segni di insediamenti stabili si fanno più consistenti. A quest'epoca risale, ad esempio, l'importante area sacra di Pugiano, situata nella valle incontaminata del torrente Riguardi. Le tracce di insediamenti successivi si infittiscono durante il periodo ellenistico, quando probabilmente la stessa collina di San Gimignano era abitata, come dimostrerebbero alcune tombe scoperte all'interno del centro storico. Se durante il periodo etrusco i luoghi abitati occupano la sommità dei rilievi, con la colonizzazione romana si iniziò a prediligere il fondovalle e, in particolare, le aree in prossimità dei corsi d'acqua, le cui sponde erano spesso utilizzate come vie di comunicazione. È il caso della Villa romana di Chiusi, situata nei pressi del torrente Fosci. Tra Alto e Basso Medioevo Dalla costellazione di villaggi rurali di piccole proporzioni del periodo etrusco e poi di quello romano, gravitanti nell'orbita della più importante Volterra, si passò, verso la fine dell'Alto Medioevo (che coincide col X secolo) alla formazione del nucleo più antico dell'attuale centro storico. Nel 998 San Gimignano era ancora un villaggio a cavallo della via Francigena, politicamente feudo del vescovo di Volterra, il quale risiedeva in un castello ubicato sul Poggio della Torre. Lo sviluppo di San Gimignano avvenne soprattutto nei primi tre secoli dopo il Mille, quando si trovò in una situazione geografica strategica. La via Francigena, inizialmente aperta dai Longobardi, divenne, nell'Alto Medioevo, l'itinerario dei pellegrini che, soprattutto dalla Francia, si dirigevano a Roma e, proprio a San Gimignano, si innestava la deviazione verso il porto di Pisa. La città, delimitata dalla prima cerchia di mura e sorta a cavallo della variante collinare della via Francigena, diventò uno dei principali luoghi di transito e di sosta per tutti i viandanti. Da libero comune alla sottomissione a Firenze Nel 1199 la città, ormai notevolmente cresciuta, si dichiarò libero comune, inizialmente retto da Consoli e poi da un Podestà periodicamente rinnovato. Questi, per motivi di imparzialità, era sempre "straniero" e restava in carica sei mesi. Nonostante gli aspri contrasti politici tra i guelfi sostenitori del papa ed i ghibellini sostenitori dell'imperatore, il Comune crebbe e prosperò nelle attività agricole, in particolare la produzione di zafferano, vino Greco e Vernaccia, nel commercio della lana e nel prestito del denaro a usura, fino a raggiungere nella prima metà del '300 circa 13.000 abitanti e le dimensioni del Centro storico attuale racchiuse nella seconda cerchia di mura. La peste del 1348 decimò due terzi della popolazione e, da allora, cominciò per San Gimignano una lunga decadenza all'ombra della dominante Firenze. Dal declino dopo la metà del Trecento alla città di oggi La crescita economica, architettonica e culturale di San Gimignano si ferma alla metà del Trecento, quando il comune si sottomette a Firenze. La San Gimignano dopo il 1348 non raggiungerà più i livelli economici e demografici precedenti.  L'improvviso spopolamento e la decadenza economica, ed infine la perdita dell'autonomia politica, producono guasti evidenti: le torri crollano, o vengono "scamozzate", i palazzi si rovinano, e, per secoli, proprio per questo motivo, non ci sono grandi interventi "alla moda". È per questa situazione che il Centro storico di San Gimignano arriverà alla stagione ottocentesca dei "restauri gotici" quasi indenne dalle influenze stilistiche delle epoche precedenti. Gli aggiornamenti edilizi dal Quattrocento in poi sono rari: la Rocca di Montestaffoli, voluta dai Fiorentini in funzione antisenese, qualche palazzo, qualche piccola chiesa ma, per lo più si tratta di interventi piuttosto semplici di manutenzione. Se, nonostante la decadenza, il Quattrocento lascia a San Gimignano i prestigiosi interventi di artisti come Domenico Ghirlandaio, Benozzo Gozzoli, Benedetto da Maiano, che rinnovano e arricchiscono il patrimonio costituito nei secoli precedenti con le opere di Coppo di Marcovaldo, Memmo di Filippuccio, Simone Martini, Lippo Memmi, Bartolo di Fredi, Taddeo di Bartolo, Jacopo della Quercia, il Seicento rappresenterà il punto più basso della storia della Città, quando diverrà, dopo la peste del 1631 uno dei luoghi più poveri del Granducato con solo 3.000 abitanti. Scopri gli itinerari per visitare San Gimignano Scarica la app ufficiale Le riforme settecentesche porteranno qualche beneficio anche a San Gimignano: l'agricoltura, nella tipica forma toscana della coltivazione promiscua, ricomincerà a crescere in produttività e la popolazione a risalire fino a raggiungere i 10.000 abitanti del 1948 ed il centro storico vivrà un incredibile revival: prima con la riscoperta del Medioevo verso la metà dell'Ottocento, con il recupero ed il restauro di molti palazzi, e poi, circa cent'anni dopo con la crescita esponenziale del turismo culturale che fa arrivare ogni anno nella città delle torri milioni di turisti. Oggi il Comune di San Gimignano ha circa 8.000 abitanti, vive di agricoltura grazie ad una pregiatissima produzione del vino Vernaccia D.O.C.G. ed a una fiorente attività agrituristica, condivide con la Valdelsa una vocazione industriale manifatturiera, ed ospita ogni anno nel centro storico, dichiarato dall'UNESCO patrimonio mondiale dell'umanità milioni di turisti di tutto il mondo che vengono ad ammirare il Medioevo "congelato" urbanisticamente e architettonicamente da secoli e decadenza e "conservato" oggi da Leggi nazionali e regolamenti locali rigidissimi. La torre, simbolo di potenza Da qualunque luogo si arrivi, San Gimignano svetta sulla collina, alta 334 metri, con le sue numerose torri, di cui ancora oggi se ne contano tredici. Si dice che nel Trecento ve ne fossero settantadue, almeno una per ogni famiglia benestante, che potevano così mostrare, attraverso la costruzione di una torre, il proprio potere economico (molte sono ancora visibili nel corpo dei palazzi benché "scamozzate"). Le prime torri nascono isolate, in un tessuto sgranato, ben diverso da quello compatto che vediamo oggi. Diverso era soprattutto il modo in cui si viveva nella torre: gli ambienti all'interno erano piccoli, in genere un metro per due; poche erano le aperture, mentre lo spessore murario, di circa due metri, garantiva fresco in estate e caldo in inverno. Quasi a tutte le torri venivano addossate strutture in materiali deperibili come legno e terra.  La torre era, nell'epoca medievale, il massimo simbolo di potenza, soprattutto per il fatto che il processo costruttivo non era certo semplice o economico. Occorreva cavare i materiali per la costruzione, trasportarli fino in città, porre in opera la struttura, cose che potevano permettersi soltanto le famiglie più abbienti, dedite all'attività mercantile e usuraria. L'abitazione non si estendeva per tutta l'altezza della torre. Al piano terreno erano le botteghe, al primo piano le camere e, più in alto, la cucina. La disposizione degli ambienti seguiva le più elementari regole della sicurezza, ad esempio, la cucina, dove si accende solitamente il fuoco, era al piano abitato più alto, in modo da poter fuggire dalla torre in caso di incendi fortuiti. Le torri si trasformano Durante il XII secolo le trasformazioni che interessano l'edilizia sono finalizzate ad un miglioramento della vita quotidiana: la necessità di maggiori spazi interni e di aperture più numerose induce a nuovi modelli costruttivi che investono soprattutto le torri. Il modello di riferimento per le torri costruite tra la metà del XII e quella del XIII secolo è quello di tipo pisano, detto così per la gran quantità di edifici, riconducibili a questa tipologia, nella famosa città marinara toscana. Gli edifici di questo tipo si riconoscono per la presenza, ai livelli inferiori, di una o più aperture alte e strette che attraversano, da parte a parte, tutta la larghezza della torre. Le aperture, che si prolungano per due o più piani, sono spartite, all'interno, da solai lignei corrispondenti, all'esterno, a ballatoi anch'essi in legno. Tali ballatoi permettevano una dilatazione degli spazi oltre le pareti della struttura. Dalle torri ai palazzi Dalla fine del XII secolo, oltre a torri dello stesso schema, si costruiscono anche edifici di minor altezza già definibili palazzi. Dalla metà dello stesso secolo, intanto, compare l'uso del mattone, con il quale si cominciano a costruire interi edifici o vaste porzioni di fabbricati.  Alla metà del Duecento le torri non si costruiscono più, mentre i palazzi risultano edificati secondo le tecniche più aggiornate e i gusti in voga nel periodo. È proprio a partire dalla metà di questo secolo che i maggiori centri, come Firenze, Pisa, Lucca o Siena, definiscono alcuni caratteri architettonici peculiari e diversi per ogni città. Questo non succede a San Gimignano, dove è presente invece un'architettura eclettica, in cui si fondono gli stili delle diverse città con cui il comune viene in contatto. Si genera così un'architettura che, proprio per questa compenetrazione, risulta oltremodo originale.
583 íbúar mæla með
San Gimignano
Piazza Sant'Agostino
583 íbúar mæla með
https://www.sangimignano.com/ La fondazione di San Gimignano si perde nella notte dei tempi: la leggenda racconta che nel 63 a.C. i due fratelli Muzio e Silvio, giovani patrizi fuggiti da Roma perché complici di Catilina, si rifugiarono in Val d'Elsa e vi costruirono due castelli: quello di Mucchio e quello di Silvia, futura San Gimignano. Il primo documento storico che attesta il nome della città è datato 30 agosto 929 quando Ugo di Provenza dona al vescovo di Volterra il monte chiamato della Torre "prope Sancto Geminiano adiacente". È probabile che il nome San Gimignano derivi proprio dal nome del vescovo di Modena, quando - anche in questo caso la leggenda narra che - il santo durante le invasioni barbariche salvò la città dalla minaccia di Totila, apparendo miracolosamente sulle mura. Prenota una visita guidata Agevolazioni per gruppi   I primi insediamenti Il fascino delle leggende, tuttavia, non è certo superiore a quello esercitato dalla lunga e complessa storia della città. Il territorio di San Gimignano fu frequentato fin dalla preistoria. È comunque a partire dal periodo etrusco arcaico che i segni di insediamenti stabili si fanno più consistenti. A quest'epoca risale, ad esempio, l'importante area sacra di Pugiano, situata nella valle incontaminata del torrente Riguardi. Le tracce di insediamenti successivi si infittiscono durante il periodo ellenistico, quando probabilmente la stessa collina di San Gimignano era abitata, come dimostrerebbero alcune tombe scoperte all'interno del centro storico. Se durante il periodo etrusco i luoghi abitati occupano la sommità dei rilievi, con la colonizzazione romana si iniziò a prediligere il fondovalle e, in particolare, le aree in prossimità dei corsi d'acqua, le cui sponde erano spesso utilizzate come vie di comunicazione. È il caso della Villa romana di Chiusi, situata nei pressi del torrente Fosci. Tra Alto e Basso Medioevo Dalla costellazione di villaggi rurali di piccole proporzioni del periodo etrusco e poi di quello romano, gravitanti nell'orbita della più importante Volterra, si passò, verso la fine dell'Alto Medioevo (che coincide col X secolo) alla formazione del nucleo più antico dell'attuale centro storico. Nel 998 San Gimignano era ancora un villaggio a cavallo della via Francigena, politicamente feudo del vescovo di Volterra, il quale risiedeva in un castello ubicato sul Poggio della Torre. Lo sviluppo di San Gimignano avvenne soprattutto nei primi tre secoli dopo il Mille, quando si trovò in una situazione geografica strategica. La via Francigena, inizialmente aperta dai Longobardi, divenne, nell'Alto Medioevo, l'itinerario dei pellegrini che, soprattutto dalla Francia, si dirigevano a Roma e, proprio a San Gimignano, si innestava la deviazione verso il porto di Pisa. La città, delimitata dalla prima cerchia di mura e sorta a cavallo della variante collinare della via Francigena, diventò uno dei principali luoghi di transito e di sosta per tutti i viandanti. Da libero comune alla sottomissione a Firenze Nel 1199 la città, ormai notevolmente cresciuta, si dichiarò libero comune, inizialmente retto da Consoli e poi da un Podestà periodicamente rinnovato. Questi, per motivi di imparzialità, era sempre "straniero" e restava in carica sei mesi. Nonostante gli aspri contrasti politici tra i guelfi sostenitori del papa ed i ghibellini sostenitori dell'imperatore, il Comune crebbe e prosperò nelle attività agricole, in particolare la produzione di zafferano, vino Greco e Vernaccia, nel commercio della lana e nel prestito del denaro a usura, fino a raggiungere nella prima metà del '300 circa 13.000 abitanti e le dimensioni del Centro storico attuale racchiuse nella seconda cerchia di mura. La peste del 1348 decimò due terzi della popolazione e, da allora, cominciò per San Gimignano una lunga decadenza all'ombra della dominante Firenze. Dal declino dopo la metà del Trecento alla città di oggi La crescita economica, architettonica e culturale di San Gimignano si ferma alla metà del Trecento, quando il comune si sottomette a Firenze. La San Gimignano dopo il 1348 non raggiungerà più i livelli economici e demografici precedenti.  L'improvviso spopolamento e la decadenza economica, ed infine la perdita dell'autonomia politica, producono guasti evidenti: le torri crollano, o vengono "scamozzate", i palazzi si rovinano, e, per secoli, proprio per questo motivo, non ci sono grandi interventi "alla moda". È per questa situazione che il Centro storico di San Gimignano arriverà alla stagione ottocentesca dei "restauri gotici" quasi indenne dalle influenze stilistiche delle epoche precedenti. Gli aggiornamenti edilizi dal Quattrocento in poi sono rari: la Rocca di Montestaffoli, voluta dai Fiorentini in funzione antisenese, qualche palazzo, qualche piccola chiesa ma, per lo più si tratta di interventi piuttosto semplici di manutenzione. Se, nonostante la decadenza, il Quattrocento lascia a San Gimignano i prestigiosi interventi di artisti come Domenico Ghirlandaio, Benozzo Gozzoli, Benedetto da Maiano, che rinnovano e arricchiscono il patrimonio costituito nei secoli precedenti con le opere di Coppo di Marcovaldo, Memmo di Filippuccio, Simone Martini, Lippo Memmi, Bartolo di Fredi, Taddeo di Bartolo, Jacopo della Quercia, il Seicento rappresenterà il punto più basso della storia della Città, quando diverrà, dopo la peste del 1631 uno dei luoghi più poveri del Granducato con solo 3.000 abitanti. Scopri gli itinerari per visitare San Gimignano Scarica la app ufficiale Le riforme settecentesche porteranno qualche beneficio anche a San Gimignano: l'agricoltura, nella tipica forma toscana della coltivazione promiscua, ricomincerà a crescere in produttività e la popolazione a risalire fino a raggiungere i 10.000 abitanti del 1948 ed il centro storico vivrà un incredibile revival: prima con la riscoperta del Medioevo verso la metà dell'Ottocento, con il recupero ed il restauro di molti palazzi, e poi, circa cent'anni dopo con la crescita esponenziale del turismo culturale che fa arrivare ogni anno nella città delle torri milioni di turisti. Oggi il Comune di San Gimignano ha circa 8.000 abitanti, vive di agricoltura grazie ad una pregiatissima produzione del vino Vernaccia D.O.C.G. ed a una fiorente attività agrituristica, condivide con la Valdelsa una vocazione industriale manifatturiera, ed ospita ogni anno nel centro storico, dichiarato dall'UNESCO patrimonio mondiale dell'umanità milioni di turisti di tutto il mondo che vengono ad ammirare il Medioevo "congelato" urbanisticamente e architettonicamente da secoli e decadenza e "conservato" oggi da Leggi nazionali e regolamenti locali rigidissimi. La torre, simbolo di potenza Da qualunque luogo si arrivi, San Gimignano svetta sulla collina, alta 334 metri, con le sue numerose torri, di cui ancora oggi se ne contano tredici. Si dice che nel Trecento ve ne fossero settantadue, almeno una per ogni famiglia benestante, che potevano così mostrare, attraverso la costruzione di una torre, il proprio potere economico (molte sono ancora visibili nel corpo dei palazzi benché "scamozzate"). Le prime torri nascono isolate, in un tessuto sgranato, ben diverso da quello compatto che vediamo oggi. Diverso era soprattutto il modo in cui si viveva nella torre: gli ambienti all'interno erano piccoli, in genere un metro per due; poche erano le aperture, mentre lo spessore murario, di circa due metri, garantiva fresco in estate e caldo in inverno. Quasi a tutte le torri venivano addossate strutture in materiali deperibili come legno e terra.  La torre era, nell'epoca medievale, il massimo simbolo di potenza, soprattutto per il fatto che il processo costruttivo non era certo semplice o economico. Occorreva cavare i materiali per la costruzione, trasportarli fino in città, porre in opera la struttura, cose che potevano permettersi soltanto le famiglie più abbienti, dedite all'attività mercantile e usuraria. L'abitazione non si estendeva per tutta l'altezza della torre. Al piano terreno erano le botteghe, al primo piano le camere e, più in alto, la cucina. La disposizione degli ambienti seguiva le più elementari regole della sicurezza, ad esempio, la cucina, dove si accende solitamente il fuoco, era al piano abitato più alto, in modo da poter fuggire dalla torre in caso di incendi fortuiti. Le torri si trasformano Durante il XII secolo le trasformazioni che interessano l'edilizia sono finalizzate ad un miglioramento della vita quotidiana: la necessità di maggiori spazi interni e di aperture più numerose induce a nuovi modelli costruttivi che investono soprattutto le torri. Il modello di riferimento per le torri costruite tra la metà del XII e quella del XIII secolo è quello di tipo pisano, detto così per la gran quantità di edifici, riconducibili a questa tipologia, nella famosa città marinara toscana. Gli edifici di questo tipo si riconoscono per la presenza, ai livelli inferiori, di una o più aperture alte e strette che attraversano, da parte a parte, tutta la larghezza della torre. Le aperture, che si prolungano per due o più piani, sono spartite, all'interno, da solai lignei corrispondenti, all'esterno, a ballatoi anch'essi in legno. Tali ballatoi permettevano una dilatazione degli spazi oltre le pareti della struttura. Dalle torri ai palazzi Dalla fine del XII secolo, oltre a torri dello stesso schema, si costruiscono anche edifici di minor altezza già definibili palazzi. Dalla metà dello stesso secolo, intanto, compare l'uso del mattone, con il quale si cominciano a costruire interi edifici o vaste porzioni di fabbricati.  Alla metà del Duecento le torri non si costruiscono più, mentre i palazzi risultano edificati secondo le tecniche più aggiornate e i gusti in voga nel periodo. È proprio a partire dalla metà di questo secolo che i maggiori centri, come Firenze, Pisa, Lucca o Siena, definiscono alcuni caratteri architettonici peculiari e diversi per ogni città. Questo non succede a San Gimignano, dove è presente invece un'architettura eclettica, in cui si fondono gli stili delle diverse città con cui il comune viene in contatto. Si genera così un'architettura che, proprio per questa compenetrazione, risulta oltremodo originale.
https://www.parcodellavaldorcia.com/ Scopri L’ARCHIVIO FOTOGRAFICO C’è un luogo dell’anima in cui l’opera dell’uomo si è legata in un perfetto equilibrio con la straordinaria bellezza del suo paesaggio. Val d’Orcia On My Mind ripercorre questa storia tra immagini d’epoca e visioni del presente. Le testimonianze fotografiche più autentiche diventano un patrimonio digitalizzato disponibile alla consultazione per scoprire i paesaggi, i luoghi, le persone e le tradizioni della Val d’Orcia
17 íbúar mæla með
Val D'Orcia Patrimonio Mondiale Unesco
17 íbúar mæla með
https://www.parcodellavaldorcia.com/ Scopri L’ARCHIVIO FOTOGRAFICO C’è un luogo dell’anima in cui l’opera dell’uomo si è legata in un perfetto equilibrio con la straordinaria bellezza del suo paesaggio. Val d’Orcia On My Mind ripercorre questa storia tra immagini d’epoca e visioni del presente. Le testimonianze fotografiche più autentiche diventano un patrimonio digitalizzato disponibile alla consultazione per scoprire i paesaggi, i luoghi, le persone e le tradizioni della Val d’Orcia
Il Museo Etrusco Guarnacci nacque nel 1761 quando il nobile abate Mario Guarnacci donò il suo straordinario patrimonio archeologico, raccolto in anni di ricerche e acquisti, a Volterra, la sua città natale. La collezione si trova dal 1877 nell’attuale sede di Palazzo Desideri Tangassi e raccoglie reperti che vanno dal periodo preistorico, attraverso quello orientalizzante, arcaico, classico fino al periodo ellenistico (IV secolo-I secolo a.C.) in cui Volterra ebbe il suo maggiore sviluppo. Sono oltre 600 le urne conservate nel Museo, divise a seconda del soggetto dei bassorilievi della cassa: si trovano così motivi ornamentali con rosoni, demoni o maschere, ma anche animali fantastici e feroci, il viaggio agli ingeri a cavallo, l’addio del defunto ai parenti. Non mancano le urne decorate con splendidi bassorilevi di argomento mitologico greco: come Edipo e la Sfinge, il rapimento di Elena, Teseo e il Minotauro, le Amazzoni, Ulisse e le sirene.
41 íbúar mæla með
Museo Etrusco Guarnacci
15 Via Don Giovanni Minzoni
41 íbúar mæla með
Il Museo Etrusco Guarnacci nacque nel 1761 quando il nobile abate Mario Guarnacci donò il suo straordinario patrimonio archeologico, raccolto in anni di ricerche e acquisti, a Volterra, la sua città natale. La collezione si trova dal 1877 nell’attuale sede di Palazzo Desideri Tangassi e raccoglie reperti che vanno dal periodo preistorico, attraverso quello orientalizzante, arcaico, classico fino al periodo ellenistico (IV secolo-I secolo a.C.) in cui Volterra ebbe il suo maggiore sviluppo. Sono oltre 600 le urne conservate nel Museo, divise a seconda del soggetto dei bassorilievi della cassa: si trovano così motivi ornamentali con rosoni, demoni o maschere, ma anche animali fantastici e feroci, il viaggio agli ingeri a cavallo, l’addio del defunto ai parenti. Non mancano le urne decorate con splendidi bassorilevi di argomento mitologico greco: come Edipo e la Sfinge, il rapimento di Elena, Teseo e il Minotauro, le Amazzoni, Ulisse e le sirene. 
Gli amanti del trekking potranno proseguire verso la riserva di Berignone, i cui sentieri, passando per il bosco, portano a ruderi di rocche e castelli.
23 íbúar mæla með
Berignone Nature Reserve
23 íbúar mæla með
Gli amanti del trekking potranno proseguire verso la riserva di Berignone, i cui sentieri, passando per il bosco, portano a ruderi di rocche e castelli.